L'EPATITE E
Fino a 15 anni fa l’epatite E era considerata una epatite acuta perlopiù autolimitante, potenziale causa di epatiti fulminanti in donne incinte o in pazienti con concomitanti epatopatie croniche trasmessa tramite acqua contaminata e diffusa in molti paesi in via di sviluppo, alle nostre latitudini causa solo di rare epatiti acute nei viaggiatori di ritorno da viaggi esotici. All’incirca 15 anni fa casi sporadici di epatite E autoctona hanno iniziato a venire descritti in tutte le nazioni industrializzate, quasi tutti causati dal genotipo 3 e associati ad una trasmissione zoonotica. Il numero di diagnosi è cresciuto in modo esponenziale ed ora l’epatite E è diventata oggi la più comune causa di epatite virale acuta in Europa.
Hepatology a clinical textbook, Mauss, Berg, Rockstroh, Sarrazin, Wedemeyer 8th edition 2017
Grazie anche ad una crescente attività di ricerca stiamo solo ora iniziando a capire la vera importanza di questa malattia infettiva. Negli ultimi anni è infatti diventato evidente che l’epatite E può diventare cronica nei pazienti immunosoppressi, che una varietà di manifestazioni extraepatiche possono essere causate dal virus dell’epatite E (HEV), che la terapia antivirale con ribavirina è efficace nella maggior parte (ma non in tutti) dei pazienti con infezione cronica, che i maiali sono un importante reservoir animale (sebbene non l’unico) e che il virus può essere trasmesso tramite trasfusioni di derivati ematici.
Dr. med. Lorenzo Magenta
Vicedirettore, Epatocentro Ticino
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Andiamo a conoscere meglio questa poliedrica epatite virale.
HEV è un virus a RNA a filamento singolo, non capsulato, appartenente alla famiglia degli Hepeviridae a al genere Hepevirus. Sono noti almeno 4 genotipi (fino a 7 secondo gli studi più recenti) e molti sottotipi. Sembra che l’azione di HEV non sia direttamente citopatica, ma il danno epatico sarebbe immunomediato. Il virus è inattivato da calore (minimo 71°C per 20 minuti)
HEV è stato sospettato per la prima volta nel 1978, dopo una vasta epidemia in Kashmir con 52.000 casi sintomatici e 1700 morti, mentre è stato identificato nel 1983 dai medici sovietici al seguito delle truppe che al tempo invadevano l’Afghanistan, e definitivamente clonato solo nel 1990.
HEV è responsabile di 20 milioni di nuove infezioni e di piu’ di 70.000 morti all‘anno, con un tasso di mortalità, studiato quasi esclusivamente nei paesi in via di sviluppo, variabile tra lo 0.2% e il 4%. La maggior parte dei casi (e dei decessi) si verifica nei paesi tropicali favoriti dal sovraffollamento e dalle scarse condizioni igieniche (particolarmente devastanti sono le epidemie nei campi di rifugiati). Tuttavia la malattia non è limitata ai paesi tropicali e negli ultimi 15 anni casi autoctoni di HEV sono sempre più spesso stati diagnosticata anche nei paesi più sviluppati.
Si è quindi scoperto che esistono 2 varianti di epatite E ben distinte dal punto di vista genotipico, della localizzazione geografica, della via di trasmissione e delle manifestazioni cliniche:
Kamar N et al. Lancet 2012
In questa variante l’ epatite acuta è spessissimo asintomatica con mortalità molto minore e limitata a pazienti con preesistenti epatopatie croniche quali cirrosi di varia eziologia (acute on chronic), peraltro con mortalità fino al 27%. Studi eseguiti su donatori di sangue (buoni rappresentanti della popolazione generale) hanno messo in evidenza sieroprevalenze (IgG positive corrispondenti a pregresse epatiti E asintomatiche) variabili dal 29% della Germania, al 27% dell’Olanda, al 15% della Spagna, al 14% dell’Austria, al 12% dell’Inghilterra, al 7.5% dell’Italia, fino al 4.7% della Scozia. In Francia la siero prevalenza media è del 22.4% ma vi sono 3 aree geografiche ben definite in cui la sieroprevalenza sale fino all’86% dei donatori (in queste regioni è comune il consumo di salsicce crude con fegato di maiale, spesso contaminate dal virus dell’epatite E).
Mansuy JM et al. Hepatology 2016
In Svizzera due studi evidenziavano una sieroprevalenza di IgG anti HEV nei donatori di sangue del Canton Vaud rispettivamente del 4 e del 22% a seconda del diverso tipo di test sierologico usato. Uno studio condotto tra il 2006 e il 2011 rivelava una sieroprevalenza (IgG anti HEV) in Svizzera del 58.1% nei maiali allevati e del 12.5% nei cinghiali selvatici.
Uno studio del 2017 descriveva 119 casi di epatite E diagnosticati tra il 2010 e il 2015 in 2 ospedali ticinesi con 35 ospedalizzazioni. Il 68% dei pazienti erano maschi e il numero dei casi aumentava durante lo studio da 3 nel 2012 a 51 nel 2015. In Ticino l’incidenza e la prevalenza dell’epatite E non sono peraltro diverse da quelle di molti altri cantoni svizzeri. A differenza di altri cantoni si è invece deciso di fare qualcosa per ridurre l’incidenza della malattia e dal 06.04.2017 è stata vietata in Ticino la vendita di mortadelle ticinesi contenente fegato di maiale crudo (dopo che il 22% delle mortadelle erano risultate contaminate dall’ HEV). I nuovi casi di malattia in Ticino da allora sembrano essere in lenta ma costante riduzione (anche per la presa di coscienza del problema da parte della popolazione).
Altra possibile via di trasmissione dell’epatite E sono le trasfusioni di sangue o derivati ematici, dal momento che le attuali procedure di inattivazione sono inefficaci per HEV. Diversi studi hanno messo in evidenza una prevalenza media europea di donazioni HEV-RNA positive di 1:2000 (variabile tra 1:600 – 1:14.500 a seconda dei paesi europei). A complicare le cose la maggior parte dei donatori viremici sono ancora negativi per gli anticorpi anti-HEV.
In Svizzera si è optato per la via più sicura e dal 01.10.2018 tutti i prodotti ematici sono testati per l’HEV-RNA (dopo che un recente studio aveva evidenziato una PCR positiva in 1:2000-1:3000 donazioni, con IgG positive nel 20-30% dei donatori).
Dal punto di vista clinico l’epatite E ha un tempo di incubazione di 3-8 settimane (media di 40 giorni) e la malattia è completamente asintomatica nella stragrande maggioranza (circa 90%) dei casi. Nel 10% dei pazienti sintomatici, per lo piu’ uomini sopra i 60 anni, i sintomi iniziali sono aspecifici (sindrome simil-influenzale, artralgie, debolezza, vomito) mentre alcuni pazienti sviluppano poi ittero, prurito, feci acoliche e urine ipercromiche accompagnate da elevazione delle transaminasi, bilirubina, fosfatasi alcalina e gamma-GT.
Molto raramente la malattia evolve verso l’insufficienza epatica (soprattutto in caso di concomitante epatopatia cronica) e in tali casi la mortalità puo’ superare il 25%.
N. Kamer et al. Lancet 2012
A: Epatite acuta itterica (spt maschi
anziani con epatopatie -> alta mortalità)
B: Epatite cronica in immunosoppressi
C: Misdiagnosticati come DILI
D: Complicanze neurologiche
E: Sindromi cliniche varie (es glomerulonefriti)
Mentre il “nostrano” genotipo 3 non sembra causare una morbidità e una mortalità particolare nelle donne incinte (a differenza dei disastri creati dal genotipo 1 nei paesi in via di sviluppo), sono tuttavia stati segnalati rarissimi casi di epatite grave da genotipo 3 in donne incinte nel Regno Unito e in Israele.
Le infezioni “nostrane” da genotipo 3 sono con relativa frequenza accompagnate da manifestazioni extraepatiche di tipo neurologico (di cui parleremo in dettaglio più avanti), nefrologico (insufficienza renale, glomerulonefriti ± crioglobulinemia mista), ematologico (trombocitopenia, anemia emolitica, anemia aplastica, sindrome da attivazione macrofagi, aplasia eritroide pura, MGUS, agranulocitosi), oltre che pancreatiti acute, miositi, artralgie ± rash, tiroidite, miocardite, miastenia. Inoltre il tasso di sieroprevalenza anti HEV è molto aumentato nei pazienti con epatite autoimmune, suggerendo un possibile ruolo di una pregressa epatite E nel successivo sviluppo di una epatite autoimmune. Non è chiaro se le manifestazioni extraepatiche sono causate da un effetto diretto del virus o indirettamente da meccanismi immunologici.
Nei pazienti immunocompetenti vi è una risoluzione spontanea dell’epatite E in 4-6 settimane, ma singoli casi di epatiti E con decorso prolungato (viremie detettabili fino a 2 anni) in pazienti immunocompetenti sono tuttavia state descritte in Francia, Spagna e Cina, senza peraltro nessun caso di evoluzione in cirrosi o epatocarcinoma. E’ invece ben assodata la possibilità di evoluzione in epatiti croniche e cirrosi nei pazienti immunosoppressi.
Il 66% dei pazienti immunosoppressi che hanno un'epatite E acuta da gen 3 (come anche genotipo 4 in Asia) va infatti incontro a cronicizzazione, definita come persistenza dell’HEV-RNA per più di 3 mesi. La cronicizzazione riguarda sopratutto pazienti trapiantati (sia organi solidi che midollo), ma anche più raramente pazienti HIV con difese immunitarie ridotte, pazienti ematologici e pazienti reumatologici. Spesso negli immunosoppressi l’epatite E cronica è asintomatica con un minimo rialzo di AST e ALT ma è frequente una rapida evoluzione verso la cirrosi (10% dopo 2 anni) e le sue complicanze. Per la diagnosi in questi casi bisogna cercare direttamente l‘HEV-RNA dal momento che la sierologia è spesso negativa, data l’immunosoppressione.
Le complicanze neurologiche si sviluppano in circa il 5% dei casi “nostrani” causati dal genotipo 3. Classicamente comportano una neurite brachiale spesso bilaterale (amiotrofia nevralgica o Parsonage-Turner syndrome), spesso invalidante e di lunga durata.
Sono anche possibili sindromi di Guillain-Barrè, meningoencefaliti, paralisi di Bell, neurite vestibolare, poliradicolopatia, mielite trasversa, etc. Nei casi con coinvolgimento neurologico l’epatite è solitamente lieve, ma alcuni sintomi neurologici possono avere un'evoluzione grave, con sequele per anni . E’ molto importante includere fin dall’inizio l’epatite E nell’algoritmo diagnostico di tali patologie neurologiche, dal momento che una tale diagnosi puo’ avere conseguenze cliniche e terapeutiche. Un recente studio sull’argomento (studio NeuroCAVE), condotto dai colleghi del Neurocentro PD Dr. med. Claudio Gobbi e dr Ripellino, ha confermato una significativa presenza di complicanze neurologiche anche nei casi di epatite E in Ticino.
La diagnosi di epatite E viene posta quando una clinica compatibile trova conferma nella sierologia specifica anti epatite E (IgM in caso di infezione acuta o recente, IgG se infezione pregressa) e nelle fasi iniziali della malattia nella detezione dell’HEV-RNA. L’HEV-RNA è infatti positivo nel sangue per poche settimane dopo l’insorgenza dei sintomi (è positivo più a lungo a livello fecale), mentre è già positivo nelle primissime fasi della malattia quando la sierologia puo’ ancora essere negativa. Le IgM anti HEV invece tendono a restare positive per parecchie settimane o mesi dopo la scomparsa dei sintomi e della transaminite ed è relativamente comune trovare IgM ed IgG positive in pazienti guariti da tempo dalla malattia.
Fraga M et al. SGG-SGVC-SASL Annual Congress, Interlaken, 2016
A complicare le cose vi è la differente sensibilità e specificità dei diversi kit sierologici sul mercato (che spiega almeno in parte le diverse sieroprevalenze osservate nei paesi europei ed anche in Svizzera), anche se oggi vi è la tendenza ad adottare il test sierologico piu’ costoso ed affidabile da parte dei laboratori più qualificati, tra cui quelli svizzeri.
Soprattutto in passato ma anche tuttora molti casi di epatite E non vengono diagnosticati o perché asintomatici/paucisintomatici o perché misdiagnosticati come casi di epatotossicità da farmaci (drug induced liver disease o DILI). Oggigiorno va considerato un errore dell’arte non includere l’epatite E nel pannello diagnostico di qualsiasi transaminite.
Va infine ricordato che in Svizzera l’epatite E è dal gennaio 2018 soggetta a dichiarazione obbligatoria all’UFSP (vedi allegato).
Dal punto di vista terapeutico nei pazienti immunocompetenti non è necessario alcun trattamento data la risoluzione spontanea in poche settimane (nei rari casi severi il farmaco di scelta è la ribavirina). Nei casi cronici in pazienti immunosoppressi il primo passo se possibile è la riduzione della terapia immunosoppressiva che basta a risolvere l’epatite E nel 30% dei casi. Ulteriore possibilità è un trattamento con il farmaco di scelta per l’epatite E che è la ribavirina (600-900 mg/dì) che permette nell’85% dei casi la guarigione con 3-6 mesi di terapia. Ulteriori possibilità sono l’interferone peghilato (potenzialmente efficace ma ricco di effetti collaterali e pericoloso nei trapiantati per il rischio di rigetto) e il sofosbuvir che sembra avere un certo effetto nei pochi casi non responsivi alla ribavirina. Solamente in Cina è dal 2012 commercializzato un efficace vaccino (Hecolin®) che con 3 dosi conferisce una efficacia del 100% nel prevenire casi acuti sintomatici, basato sul genotipo 1 ma con probabile efficacia crociata verso tutti i genotipi.
In conclusione l’epatite E nei paesi industrializzati è una diffusa malattia autolimitante per lo piu’ asintomatica e piu’ raramente associata ad una epatite acuta sintomatica nei soggetti immunocompetenti. I pazienti piu’ a rischio di complicazioni anche gravi sono quelli con concomitanti epatopatie croniche/cirrosi, gli immunosoppressi e precauzionalmente le donne incinte. Tali popolazioni dovrebbero evitare di mangiare carne cruda o poco cotta.
Va anche ricordata la possibilità di manifestazioni extraepatiche in particolare neurologiche e la necessità di includere la sierologia dell’epatite E nella diagnosi differenziale di qualsiasi epatite acuta. Da ultimo vi è la possibilità di una efficace cura con ribavirina nei casi gravi o nei pazienti immunosoppressi con epatite E cronica.
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