Il consumo di sostanze illecite, così come l’elevato consumo di alcol, rappresentano tutt’oggi un'importante problematica che pone delle sfide a livello sociale, ma sicuramente anche a livello medico.
Nella nostra attività di studio medico ci possiamo trovare confrontati con pazienti che presentano problemi di salute fisica, psichica e sociale legati al consumo di sostanze stupefacenti e/o all’alcol. Queste sostanze possono avere ripercussioni negative sul sistema cardiovascolare, neurologico, renale ed in generale sulla salute psichica. Un importante effetto dannoso di molte sostanze avviene poi nei confronti del fegato, la cui malattia legata ai consumi è ben nota in relazione all’alcol, ma lo è meno in relazione ad altre sostanze.
I possibili effetti epatotossici delle sostanze, diretti e indiretti, possono variare da lievi alterazioni asintomatiche dei test epatici fino alla possibilità di un'insufficienza epatica fulminante o allo sviluppo di gravi epatopatie croniche.
Dr.ssa med. Alessandra Bruno
Medico accreditato, Epatocentro Ticino
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Passeremo qui in rassegna le conoscenze attuali in merito alle possibilità di danno epatico imputabili ai consumi di diverse sostanze utilizzate a scopo ricreativo e/o responsabili di diversi quadri di consumo incontrollato o dipendenza.
Danno epatico da cannabis
La cannabis continua ad essere la sostanza stupefacente più utilizzata globalmente; UNODC (United Nation Office on Drugs and Crime, Ufficio delle Nazioni Unite su droghe e crimine) stima che in media il 4% della popolazione globale di età compresa tra 15-64 anni abbia usato cannabis almeno una volta nel 2019, l’equivalente di circa 200 milioni di persone. Il numero totale di chi ha utilizzato la cannabis nell’ultimo anno si stima essere aumentato di circa il 18% negli ultimi 10 anni (2010–2019), riflettendo in parte un aumento nella popolazione globale di circa il 10 % nello stesso periodo1.
La prevalenza dell’epatotossicità della cannabis varia dal 17% al 66.7% ed appare più alta in presenza di altri fattori di rischio quali l’abuso concomitante di alcol, oppioidi, stimolanti e sedativi2.
In particolar modo si può osservare epatomegalia, un aumento delle transaminasi e della fosfatasi alcalina così come, raramente, sono descritti casi di insufficienza epatica fulminante3. L’epatomegalia sembra essere secondaria non ad un danno parenchimale ma piuttosto ad una iperplasia/ipertrofia delle cellule, specialmente delle cellule del Kupffer mentre le alterazioni epatiche possono essere di tipo degenerativo (40%), infiammatorio o degenerativo/infiammatorio nel 33% dei casi. L’aumento osservato nei valori della FA potrebbe inoltre essere conseguente ad un difetto nell’escrezione di bile su un danno delle vie biliari4.
Danno epatico da sostanze stimolanti
Gli “amphetamyne type stimulants” (ATS) includono il gruppo delle amfetamine (amfetamine e metamfetamine) ed il gruppo dell’ecstasy (MDMA). Sono sostanze che possono essere fumate, inalate, iniettate ed ingerite.
Come suggerito dal World drug report del 2021 sono il secondo tipo di sostanza più utilizzata globalmente nel 2019 con una prevalenza stimata di circa 0.5% della popolazione globale di età compresa tra i 15 ed i 64 anni.
Alte dosi di amfetamine possono essere associate a danno epatico che è secondario prevalentemente all’uso dell’MDMA (“ecstasy”) e che può portare persino ad un'insufficienza epatica acuta e a morte. Questo, in genere, è conseguente all’uso delle amfetamine per via endovenosa, sin particolare quando assunto in una eccessiva singola dose. Inoltre, l’uso per via endovenosa pone il soggetto a rischio di esporsi al virus dell’epatite C5 e ad altre infezioni per via parenterale.
Gli effetti degli ATS assunti per es. possono variare da forme di epatite acuta fino all’insufficienza epatica. L’epatotossicità si manifesta dai 3 ai 28 giorni dopo l’ingestione. L’esordio dei sintomi in genere è acuto con spossatezza, debolezza muscolare, ittero e stato confusionale, sintomi spesso accompagnati da un aumento marcato del valore delle transaminasi e dell’LDH, un prolungamento del tempo di protrombina e un danno multiorgano (reni, muscoli, cuore).
Un ulteriore quadro di danno epatico può mimare una “acute viral hepatitis-like” presentandosi con spossatezza, nausea ed ittero in genere 1-2 settimane dopo l’esposizione o l’uso giornaliero. Questa manifestazione può essere severa ma, generalmente, è autolimitante6.
Sono inoltre descritti casi di epatite cronica nei pazienti che abusano cronicamente di MDMA.
Il meccanismo esatto con cui le amfetamine possono determinare il danno epatico rimane sconosciuto, ma le amfetamine vengono prevalentemente metabolizzate nel fegato dal citocromo P450 generando un metabolita tossico responsabile del danno epatico. In caso di insufficienza epatica acuta dovuta all’ecstasy e all’uso di amfetamine ev, l’ipertermia, lo shock e l’ischemia giocano un ruolo importante nel danno epatico precoce7.
L’evoluzione del danno epatico secondario alle amfetamine è spesso autolimitante e si risolve rapidamente, ma i casi di insufficienza epatica acuta grave possono portare fino alla necessità di un trapianto epatico entro pochi giorni dalla presentazione, soprattutto legati all’assunzione di ecstasy e secondario alla massiva necrosi epatica8.
Danno epatico da cocaina
Nel 2019 si stima che circa 20 milioni di persone nel mondo - o lo 0.4% della popolazione adulta di età compresa tra 15-64 anni - abbia usato cocaina nell’ultimo anno1, prevalentemente in Europa Centrale ed Occidentale, Nord America ed Oceania.
Il consumo di cocaina può portare a diversi tipi di manifestazioni epatiche che vanno dal lieve asintomatico aumento degli enzimi epatici ad un danno severo9.
L’epatotossicità si manifesta in genere dopo alcune ore fino a giorni dopo un'intossicazione acuta e generalmente si accompagna al coinvolgimento di altri organi (CID, insufficienza renale acuta, rabdomiolisi, ipotensione, ipertermia etc). Inizialmente si osserva un aumento delle transaminasi, della fosfatasi alcalina e dell’LDH, alterazioni seguite da un'alterazione del tempo di protrombina fino alla CID e ad un aumento dei valori della bilirubina, segnali alterati di una necrosi epatica acuta.
Il meccanismo con cui la cocaina determina il danno epatico è verosimilmente secondario alla conversione a metabolita tossico (norcocaina) dopo metabolismo da parte del CYP450, ma può essere in parte legato all’effetto diretto del’ipertermia, dell’anossia e dell’ischemia epatica.
In genere, il danno epatico dovuto alla cocaina è autolimitante e si risolve rapidamente nell’arco di alcuni giorni. Sono stati descritti esiti fatali ma spesso dovuti ad altri effetti della cocaina sui vari organi e sistemi (infarto del miocardio, stroke, insufficienza multiorgano). La terapia è sintomatica e di supporto in quanto non esiste un antidoto specifico, spesso vengono somministrate infusioni di acetilcisteina vista la similitudine con l’epatotossicità indotta dal paracetamolo. Il trapianto epatico può essere considerato nei casi di insufficienza epatica acuta10.
Danno epatico da oppioidi
Gli oppioidi sono un gruppo di sostanze che include gli oppiacei (morfina, codeina e tebaina) ed i loro analoghi semi-sintetici (eroina, idrossicodone, ossicodone e buprenorfina) e sintetici (metadone, tramadol, fentanyl).
Nel 2019, circa 62 milioni di persone hanno usato oppioidi nell’ultimo anno, inclusi oppiacei e oppioidi sintetici per finalità non mediche; questo corrisponde a circa 1.2 % della popolazione globale di età compresa tra 15 e 64 anni. Circa la metà di questi ha consumato oppiacei (eroina ed oppio) nell’ultimo anno (0.6%): è sicuramente preoccupante constatare come dal 2010 al 2019 il numero di consumatori di oppiacei sia praticamente raddoppiato.
Nonostante il frequente consumo ed abuso, l’oppio e l’eroina non sembrano essere direttamente collegati ad un danno epatico clinicamente manifesto. In genere, la persona che utilizza eroina ed oppio illecitamente spesso soffre di patologie epatiche secondarie all’uso di altre sostanze (per esempio alcol) o legate al rischio di contrarre infezioni per via endovenosa (HIV ed epatiti virali). C’è poca evidenza in letteratura che oppio ed eroina possano peggiorare l’evoluzione della malattia epatica sottostante.
Danno epatico da sostanze allucinogene: Khat, Ketamina, funghi allucinogeni, LSD
Numerose sostanze con effetto allucinogeno, anestetico e dissociativo sono utilizzate illecitamente a livello globale ed in Europa: queste includono LSD (lysergic acid diethylamide), funghi allucinogeni, ketamina and GHB (gammahydroxybutyrate).
La prevalenza del consumo di tali sostanze è generalmente bassa in Europa anche se il consumo sembra essere aumentato in alcuni Paesi (Repubblica Ceca, Austria, Finlandia, Paesi Bassi, Danimarca) e la situazione appare molto eterogenea a livello nazionale e pertanto difficile da quantificare. Sono infatti spesso tipologie di droghe che vengono utilizzate in contesti di nicchia e pertanto difficili da monitorare.
La Ketamina è un anestetico generale per uso umano e veterinario somministrato per via parenterale il cui uso è stato limitato dai plurimi effetti collaterali principalmente rappresentati da allucinazioni vivide, agitazione e confusione. A piccole dosi la Ketamina diventa uno psichedelico molto potente con effetto allucinogeno e dissociativo. L’uso a breve termine della Ketamina è stato raramente associato con un danno epatico, contrariamente a quanto osservato per l’uso intermittente e cronico, che può portare ad un aumento dei valori degli indici di citolisi epatica, così come degli indici di colestasi conseguente ad una dilatazione ed irregolarità delle vie biliari intra ed extraepatiche, reperti che possono essere confermati radiologicamente. La Ketamina viene metabolizzata prevalentemente a livello epatico (CYP3A4) per cui si ritiene che il danno epatobiliare sia un danno diretto sia della Ketamina stessa che dei suoi metaboliti sulle cellule epiteliali. Non sono descritti casi di cirrosi o di insufficienza epatica correlate all’uso di ketamina e la sospensione dell’utilizzo porta solitamente ad una completa restitutio ad integrum con normalizzazione dei valori epatici e regressione delle anomalie a carico delle vie biliari11.
Il Khat chewing è una pratica molto comune nel Corno d’Africa, nei paesi dell’Africa Orientale e nella penisola Arabica dove l’uso fa parte, da secoli, del patrimonio sociale e culturale. L’OMS ha definito il Khat come sostanza illecita e il suo uso è stato vietato negli Stati Uniti che tuttavia lo importano dal Regno Unito dove l’uso è stato legalizzato ed ampiamente utilizzato dalle popolazioni migranti. La prevalenza globale del Khat chewing è sconosciuta ma si pensa che la cifra proposta di circa 20 milioni di utilizzatori giornalieri sia sottostimata12. La pianta contiene cationi e catinoni alcaloidi che hanno delle proprietà amphetamine-like con plurimi effetti simpatico-mimetici. L’uso del Khat è associato allo sviluppo sia di forme di epatite acuta13 che di epatite cronica con evoluzione verso la fibrosi severa e la cirrosi14. Negli ultimi anni, plurimi case report e piccole case series di forme severe acute e di danno epatico cronico attribuito all’uso di Khat sono state pubblicate prevalentemente nel Regno Unito ed in altre aree dell’Europa dove gli immigrati sono molto rappresentati. Una serie di casi dal Regno Unito ha riportato sei casi di danno epatico grave di cui quattro hanno necessitato di un trapianto epatico e due sono deceduti. Il danno epatico si sviluppa in genere dopo anni di abuso e si può presentare acutamente (nausea, fatica, ittero, prurito) o cronicamente con segni e complicazioni correlate all’ipertensione portale. Il meccanismo dell’epatotossicità rimane sconosciuto: in parte potrebbe essere immunomediato come dimostrato dal riscontro di bassi titoli di autoanticorpi e di alcune caratteristiche istologiche tipiche di una epatite autoimmune; in parte potrebbe essere secondario all’accumulo del khat e dei suoi metaboliti a livello epatico dove viene metabolizzato attraverso il citocromo P450. Inoltre, il danno epatico potrebbe essere secondario alla contaminazione delle foglie di Khat da altre sostanze utilizzate per lo stoccaggio e la spedizione delle foglie stesse così come da contaminanti (erbicidi, pesticidi, metallic pesanti o funghi tossici) o da prodotti di degradazione delle foglie. Il danno epatico può essere severo e progressivo ma i pazienti che sospendono l’uso del khat possono solitamente avere una risoluzione completa. I corticosteroidi sono spesso utilizzati nelle forme con caratteristiche autoimmune; il trapianto epatico viene considerato nelle forme di end stage liver disease attribuite all’uso del khat.
Non ci sono invece evidenze in letteratura che l’LSD ed i funghi allucinogeni (magic mushrooms) possano alterare la funzione epatica a meno che non siano contaminati con altre sostanze tossiche.
Danno epatico da alcol
Il consumo, l’abuso e la dipendenza da alcol rappresentano una condizione diffusa in tutto il mondo. Nel 2016 si stima che circa 2.3 miliardi di persone siano dei consumatori regolari di alcol con la più alta prevalenza annuale in Europa (69%), USA (58 %) e regioni del pacifico occidentale (56%). Si stima che 76.3 milioni di persone presentano disturbi legati al consumo di alcolici18.
La patogenesi del danno epatico nella malattia legata al consumo di alcol non è ancora del tutto chiarita ma un ruolo cruciale è rappresentato dall’acetaldeide, primo metabolita tossico dell’alcol, prodotto dall’alcol deidrogenasi (ADH) presente nel citosol e dagli enzimi del citocromo P450 2E1 presenti nel sistema microsomiale.
L’acetaldeide prodotta in eccesso nei pazienti che assumono più di 40 gr di alcol al giorno, è un metabolita tossico e mutageno che con diversi meccanismi porta alla distruzione delle cellule epatiche e allo sviluppo del tumore del fegato.
Lo spettro di malattie correlate all’uso di alcol è molto ampio e varia dalla steatosi epatica alla steatoepatite alcolica, alla fibrosi fino alla cirrosi e all’epatocarcinoma.
La steatosi epatica si sviluppa in circa l’80-90% delle persone che consumano alcol in eccesso (80 g/die); si tratta di una condizione reversibile che si risolve in 2-4 settimane di astinenza. Il paziente è spesso asintomatico ma gli esami di laboratorio documentano un aumento dei valori delle transaminasi (AST>ALT) e della GGT così come una anemia macrocitica, trombocitopenia, linfopenia ed aumento dell’INR. La persistenza del consumo di alcol, nel 20-30% dei casi, può far sì che la steatosi evolva verso un quadro di steatoepatite.
La steatopatite alcolica è una forma acuta di malattia epatica correlata all’alcol che si manifesta in pazienti che assumono giornalmente grandi quantità di alcol (circa 40 g/die) per un periodo prolungato di tempo (circa 15-20 anni). La sintomatologia può variare da un aumento asintomatico degli indici di funzionalità epatica fino ai sintomi gravi secondari al possibile overlap con un quadro di cirrosi e tutte le conseguenze correlate (ascite, encefalopatia, sanguinamento di varici esofagee e peritonite batterica spontanea).
Nei paesi sviluppati l’alcol rappresenta la più comune causa di cirrosi. La durata del consumo di alcol così come l’obesità, il sesso femminile, l’insulino resistenza e le epatiti virali rappresentano dei fattori di rischio per la progressione verso un quadro di cirrosi.
La completa astensione dall’uso di alcol è associata con una riduzione della probabilità di progressione verso il quadro di cirrosi, riduzione delle complicanze legate all’ipertensione portale e ad un miglioramento della sopravvivenza.
L’uso dannoso di alcol rappresenta la seconda indicazione più frequente per il trapianto epatico in Europa ed in Nord America19 quando i pazienti sviluppano uno scompenso del quadro di cirrosi (ascite, sanguinamento da varici, encefalopatia); la maggior parte dei programmi di trapianto epatico richiedono un’astinenza di almeno sei mesi prima della messa in lista d’attesa.
Danno epatico da fattori indiretti collegati ai consumi: malattie infettive
Il danno epatico nei soggetti dipendenti dall’alcol o dalle sostanze stupefacenti è comunque spesso multifattoriale: in parte correlato alle sostanze stesse e in parte secondario ai comportamenti inadeguati dei soggetti sotto l’effetto delle sostanze. Infatti, sotto effetto dell’alcol o delle sostanze stupefacenti, sono frequenti i comportamenti sessuali a rischio così come la condivisione di materiali non sterili che portano ad un aumento del rischio di contrarre le epatiti virali e/o l’HIV rispetto alla popolazione generale.
In base ai dati attuali del sistema nazionale di sorveglianza delle malattie infettive a dichiarazione obbligatoria in Svizzera, la trasmissione dell’HCV avviene principalmente attraverso l’uso condiviso di materiali non sterili durante il consumo di droga, mentre quella dell’HBV è principalmente imputabile a rapporti sessuali20,21.
L’abuso di sostanze e l’uso cronico di alcol hanno un effetto sinergistico con le epatiti virali nella progressione del danno epatico e per questo, a livello globale, si stanno mettendo in atto una serie di misure per combattere la trasmissione dei virus epatitici in particolar modo mettendo a disposizione dei consumatori di stupefacenti la possibilità di disporre di strumenti sterili per il consumo; sensibilizzando i consumatori riguardo alle vie di trasmissione delle epatiti B e C e dei pericoli legati alla condivisione degli strumenti; offrendo la vaccinazione per l’epatite B (ed A) e la possibilità di sottoporsi a test per le epatiti e l’HIV, pianificando terapie interdisciplinari per le epatiti B e C tenendo conto dei fattori individuali, sociali e medici.
Danno epatico da fattori indiretti collegati ai consumi: malnutrizione
Le persone con elevato consumo di alcol e sostanze stupefacenti possono presentare un quadro di malnutrizione dovuto al mancato introito calorico, ad un problema di malassorbimento dei nutrienti, ad un’alterazione del metabolismo oltre che ad una disregolazione ormonale che altera il senso di sazietà.
L’introito alimentare spesso è inoltre incongruo: infatti, per esempio, i consumatori di cocaina prediligono pasti ricchi di carboidrati e grassi riducendo l’apporto di proteine e vitamine mentre I consumatori di eroina sostituiscono proteine e grassi con alimenti ricchi di zucchero ed alcol.
In generale il BMI di tali pazienti è più basso rispetto alla popolazione generale, ma, come dimostrato in uno studio condotto in India, ciò non protegge totalmente i pazienti da una possibile complicazione epatica. Infatti, circa il 30% dei soggetti analizzati in questo studio presentavano un’insulinoresistenza ed il 53% avevano evidenza di una lieve/moderata fibrosi epatica nonostante un BMI di 20.
Ciò è secondario in parte alla frequente coinfezione con HCV, all’abuso concomitante di alcol ma anche a fattori metabolici e genetici22.
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